giovedì 27 giugno 2013

Da dove nasce il titolo del romanzo?

"Simmetria Mortale" sembra quasi un ossimoro, nel senso che il significato di ciascuno dei due termini richiama concetti radicalmente distinti tra loro, se non proprio opposti.

La simmetria è associata con la geometria e la regolarità delle forme. Nel Rinascimento, alcune correnti dell'arte e dell'architettura propugnavano un modello urbanistico di città ideale, che rispettasse i principi dell'uniformità geometrica e dell'armonia degli spazi. Nel dipinto La città ideale, conservato al Palazzo Ducale di Urbino e citato spesso come simbolo dell'arte rinascimentale italiana, gli edifici appaiono disposti simmetricamente attorno a un punto centrale, una piazza con un palazzo di forma circolare, simbolo di perfezione perché conchiuso in se stesso.

L'utopia urbanistica del tempo riteneva che tale disposizione, completamente auto-sufficiente perché contenente tutti gli elementi necessari allo svolgimento della vita pubblica e privata, avrebbe trasmesso ai suoi abitanti le stesse qualità con le quali era stata ideata e li avrebbe stimolati a dare vita a comportamenti improntati alla concordia e al vivere civile.

Il comune di Cervia, per citare l'esempio al quale mi sono ispirato per creare l'ambientazione del romanzo, possiede un centro storico costruito secondo tale modello, con due cerchie di abitazioni dalla forma rettangolare disposte in maniera concentrica attorno ai due edifici principali della vita cittadina, il municipio e la cattedrale, separati da una piazza centrale anch'essa rettangolare. A sottolineare il carattere utopistico dell'insediamento, ai quattro angoli del quadrilatero si trovano altrettanti edifici di pubblica utilità, quali il teatro, le carceri, l'ospedale e ( ma non ne sono certo ) un ospizio per anziani.

La perfezione delle forme geometriche è il simbolo dell'eterna bellezza che trascende la caducità delle forme terrene e illumina le vite di noi miseri mortali diffondendo sugli oggetti che ci circondano un senso più alto e nobile.
La morte, al contrario, è il nulla, la fine di tutto, la ferita che mette in rilievo la transitorietà dell'esistenza e che noi tentiamo in ogni modo di occultare celandone le manifestazioni più evidenti. In qualche modo sbagliando, perché è proprio il pensiero della finitezza dell'esistente, la consapevolezza che la nostra vita terrena avrà un termine, che ci spinge a fare il possibile per riempirla di significato lavorando, procreando e, talvolta, anche producendo bellezza.

La bellezza quindi può sanare le lacerazioni indotte dalla consapevolezza tragica della provvisorietà del mondo.

Ma la simmetria, nella sua pretesa di perfezione, può anche essere sinonimo di rigidità, di incapacità di adattamento oppure di rifiuto al confronto con quegli elementi che vengono avvertiti come pericolosamente estranei all'ordine da essa stabilito.

Il mito di Narciso, raffigurato da un dipinto di Caravaggio, rappresenta splendidamente questa contraddizione: esso narra la storia di un giovane talmente bello che, un giorno, specchiandosi in una fonte d'acqua limpida e cristallina, rimane incantato dalla propria immagine e se ne innamora, tanto che cerca inutilmente di toccarla e di baciarla. Quando si rende conto che si tratta di se stesso e che non potrà mai realizzare il suo sogno d'amore, preso dalla disperazione si uccide.

Narciso incarna l'identità assoluta, totalizzante, che conosce solo se stessa e non è in grado di concepire nulla al di fuori di sé mentre aprirsi all'altro significa mettere in discussione le proprie certezze, fare i conti con le proprie fragilità, mandare in pezzi quell'equilibrio che si credeva perfetto e che invece è fondato su presupposti artificiosi.

La ricerca della monolitica perfezione può diventare una gabbia che ci impedisce di vivere.

Una simmetria mortale, per l'appunto.


mercoledì 26 giugno 2013

L'orrore del vuoto in mostra a Gradara

Rappresentare la crisi italiana degli ultimi anni: questo l'intento della mostra Horror Vacui, sottotitolata, per l'appunto, "La grande crisi 2011-2013 in poesie per immagini", allestita presso Palazzo Rubini Vesin di Gradara e visitabile fino al 7 luglio.

Giuseppe Vanni, insegnante con la passione per la poesia, è l'autore dei testi e colui che ha curato l'allestimento della mostra, riuscendo ad abbinare a ogni poesia una foto in grado di esaltarne l'espressività.
La crisi del nostro tempo, sembra dire l'autore, oltre che economica e finanziaria, è morale e affettiva. La società attuale sembra incapace di produrre nuovi valori e nuove idee, e la sua corsa pare destinata a incagliarsi nelle secche dell'aridità che lei stessa ha generato, come condizione essenziale per la propria auto-riproduzione.

La diffusione del precariato nel mondo del lavoro, oltre che il simbolo di questa crisi, ne è una delle cause poiché ha aumentato, sia in intensità che in estensione, le nevrosi dell'uomo comune, esponendolo al rischio di fallimenti a catena anche nella sua vita privata. L'incertezza generale delle condizioni di vita ha fatto sprofondare il livello medio della convivenza civile, spingendo i singoli a compiere atti sempre più degradanti pur di conservare le poche briciole di benessere che le élite del potere economico-finanziario sono disposte a concedere al resto dell'umanità, al fine di poter continuare a concentrare nelle loro mani quote sempre più ampie di ricchezza.

Tra una politica che appare incapace di trovare le soluzioni per uscire dalla crisi e un'economia che disprezza e umilia coloro che credono ancora nei valori della dignità del lavoro e del sacrificio personale, sembra impossibile trovare un barlume di luce, anche spirituale, che possa servire da ancora di salvezza per chi tenta di non affondare. Fino a quando il sorriso spensierato di un bambino non sparge il balsamo incontaminato dell'innocenza sopra il degrado che ci circonda e riesce a rendere la nostra vita meno infernale.

La mostra si può visitare ogni sabato e domenica fino al 7 luglio, a partire dalle 21 di sera, presso Palazzo Rubini Vesin di Gradara. L'ingresso è libero.

venerdì 21 giugno 2013

231 giorni - Paolo Severi

I "231 giorni" del titolo sono quelli che l'autore ha trascorso nell'inferno carcerario dei "Casetti" di Rimini, dal 16 gennaio al 2 settembre del 1996. Questo libro è il risultato di quell'esperienza: una sorta di diario psico-esistenziale che lascia emergere la volontà quotidiana di sopravvivere senza farsi trascinare, da un lato, nel giro della grande criminalità e, dall'altro, nella tentazione fatale dell'eroina, del "buco" come facile soluzione e scappatoia a tutti i problemi personali.

Nonostante la compattezza, meno di duecento pagine, questo è un testo molto difficile da interpretare e praticamente impossibile da riassumere perché ricchissimo di spunti, considerazioni, ansie, timori, speranze, analisi critiche (sul carcere e sulla società esterna), soddisfazioni (piccole e grandi), ricordi, delusioni, amarezze, affetti personali e rancori astrattamente universali: con la sua scrittura essenziale e asciutta Paolo Severi ha saputo condensare un intero percorso formativo, iniziato con la decisione di rifiutare la permanenza in comunità per scontare una vecchia condanna, risalente agli anni nei quali l'unico punto fermo della sua vita era la ricerca della dose quotidiana di eroina, e terminato con la fine anticipata della detenzione.

E' un'esistenza vuota e priva di significato, quella di Severi, lanciata a tutta velocità verso l'autodistruzione, ma segnata dalla fortuna di trovare un "muro" contro cui arrestarsi: questo muro è la comunità di San Patrignano, dove l'autore trascorre tre anni che lo rimettono in carreggiata, sia dal punto di vista fisico che psicologico.
Una relazione con una donna sposata, però, lo pone in conflitto con le regole vigenti nella comunità, regole alle quali l'autore non intende, orgogliosamente, sottomettersi. Di conseguenza, per lui si spalancano le porte del carcere: una dimensione nuova, alla quale tenta disperatamente di adattarsi leggendo, scrivendo e studiando. Perché la vera novità della prigione è il tempo, talmente abbondante e dilatato da indurre il recluso a ritagliarsi uno spazio esclusivo nel quale poter coltivare i propri interessi.

Tuttavia l'operazione si rivela molto più complessa del previsto, non solo perché si è sempre, volente o nolente, in compagnia di qualcuno con cui non si riesce a comunicare come si vorrebbe, ma anche perché questo qualcuno è troppo distante, sul piano personale, per riuscire a comprenderne a fondo la storia, il carattere e i tormenti interiori. Ogni carcerato pare rinchiuso in un suo inferno psichico, prima ancora che materiale, che lo scinde e lo isola dagli altri, pur nella condivisione degli spazi.

E' così che, in questo grande vuoto esasperato dalla vicinanza di corpi estranei tra loro, anche il fatto più banale diventa un evento: che si tratti dell'arrivo di una lettera, della visita di un parente, di un controllo medico o di un semplice colloquio burocratico con un funzionario, ogni occasione è buona per spezzare la paradossale monotonia di un tempo uniformemente piatto e, apparentemente, impossibile da piegare alle proprie esigenze.

Mantenere la propria dignità all'interno di un meccanismo che sembra fare di tutto per calpestarla è un'impresa che richiede impegno costante e molta attenzione a ogni parola che si dice, come a ogni gesto che si compie. Ci sono anche coloro che si impegnano per migliorare la qualità della vita dei detenuti, ma si tratta di fiammelle nell'oscurità perché, come constata immediatamente Severi, la detenzione non tende affatto alla rieducazione del detenuto. E non solo perché la maggior parte di coloro che sono rinchiusi, non parlando l'italiano, possono essere "educati" solo a furia di manganellate, ma anche perché l'istituzione carceraria, attraverso le sue dinamiche interne, finisce inesorabilmente per favorire il reclutamento di nuove leve da parte delle organizzazioni criminali, alimentandone così la sopravvivenza.

"Il carcere ti si deve scrivere nella carne, ti si deve stampare dentro il cervello. Deve lasciare il segno....
Non ho mai conosciuto nessuno che ha smesso di rubare, o di farsi, dopo essere stato in carcere."

In carcere, la burocrazia si mette continuamente di traverso e trasforma ogni richiesta, persino la più banale, in un percorso disseminato di ostacoli, ritardi e umiliazioni di ogni genere. Per sopravvivere in quest'inferno popolato da immigrati, tossici, delinquenti veri e delinquenti per sbaglio (a tutti comunque viene offerta la possibilità di compiere il "grande salto" verso il mondo del crimine), è necessario rassegnarsi all'assurdità delle regole, accettare il fatto, anche temporaneo, di essere in balia di un meccanismo che ignora le sofferenze dei singoli ed è capace di infliggere crudeltà inumane assumendo i panni rassicuranti e insieme beffardi del rispetto scrupoloso dei regolamenti.

"Non c'è udienza che non sia rinviata di un mese, non c'è permesso che arrivi in tempo, non c'è relazione che venga prodotta puntualmente, non c'è indagine che dia buon esito, non c'è formalità che non venga elevata alla massima potenza quando si tratta di nuocere, non c'è informativa che compia il suo iter regolarmente.
Niente di niente. Siamo in balia di non si sa cosa... E' in questa attesa che si matura quel risentimento necessario per riportare, fuori di qui, l'insegnamento di violenza appreso."

La violenza e la sopraffazione si respirano nell'aria come un destino fatale che incombe su ogni recluso. Solo l'arte e la lettura riescono a sollevare l'autore dalla propria condizione materiale e dal doloroso vuoto della sua esistenza. Così, grazie all'aiuto di un altro detenuto di origine cecoslovacca, che deve scontare una pena molto più lunga della sua, entra a far parte del gruppo teatrale della prigione. E poi riesce finalmente a preparare gli esami universitari, suscitando un sospetto quasi comico nelle guardie che lo controllano, pure loro prigioniere del clima di disumana ottusità che regna nel penitenziario, che vogliono sapere perché lui, al contrario degli altri, scrive, studia e, soprattutto, non vuole tornare a San Patrignano.
Infine, la grande sorpresa della riduzione della pena, che in origine era di sei anni, e la scarcerazione anticipata. Con la scoperta che la liberazione vera, oltre che l'uscita dal carcere, è l'accettazione delle proprie debolezze e fragilità, un segreto da custodire gelosamente al riparo dalle insidie del mondo.

giovedì 20 giugno 2013

Simmetria (felicemente) realizzata

Oggi esce ufficialmente il mio secondo romanzo, "Simmetria Mortale", edito da Robin Edizioni, Roma. Volevo aspettare il comunicato ufficiale della casa editrice, ma visto che questa mattina la copertina è apparsa persino sul sito del Corriere della Sera, ne approfitto per inaugurare il mio nuovo blog, sul quale troveranno spazio principalmente le storie noir della Riviera romagnola, che non è solamente un luogo di vacanza, ma è anche un'enorme fucina di vicende dai risvolti torbidi e sensuali.
Il romanzo, di cui vedete la copertina qui a fianco, fa parte della collana "I luoghi del delitto" ed è disponibile già da qualche giorno, anche con lo sconto, sui principali siti che vendono libri online.
Devo confessare che ho dovuto aspettare così tanto per pubblicarlo che a un certo punto disperavo di vederlo uscire. Comunque, dopo oltre un anno e mezzo di attesa e il cambio "in corsa" dell'editore, il mio secondo romanzo è finalmente in vendita. Anche presso la Feltrinelli di Rimini, dove lunedì, alle 18, ci sarà la prima presentazione con l'introduzione della giornalista, nonché insegnante di ruolo, Donatella Swift.
Accorrete numerosi !!! (e comprate il libro, soprattutto).