giovedì 29 agosto 2013

Profondo rosso

Ho rivisto di recente questo film ormai leggendario di Dario Argento, datato 1975, e devo dire di esserne rimasto ancora impressionato, nonostante conosca quasi a memoria i passaggi salienti e il sorprendente finale.
La storia è quella di uno psicopatico, noi diremmo un serial killer, che uccide per nascondere un segreto nascosto nel suo passato. La musichetta infantile che scatena la sua furia omicida è entrata anch'essa a far parte della storia del cinema, così come la colonna sonora dei Goblins, che fa salire alle stelle la tensione ogni volta che le prime note rimbalzano metallicamente fuori e dentro lo schermo.

Sulle tracce dell'assassino si mettono subito le forze di Polizia, capitanate da uno sgangherato e svogliato commissario dall'accento marcatamente toscano. Il vero investigatore, però, si rivelerà essere un pianista jazz inglese che, venuto in Italia per una tournèe, assiste casualmente al primo delitto mentre vagabonda nel centro di una città che nella finzione è Roma, anche se il film, oltre che nella capitale, è stato girato a Perugia e Torino. 
Burbero e scontroso come solo gli inglesi sanno essere, il musicista dimostra però una vitalità e un sangue freddo micidiali grazie ai quali prima riesce a sfuggire a un agguato nella sua stessa casa e poi trova la forza per addentrarsi nei meandri di una villa dal passato oscuro, nella quale scopre la traccia decisiva per individuare l'assassino.
Al suo fianco, fin dalle prime battute del film, c'è una giornalista italiana spregiudicata e sensuale, interpretata magnificamente da Daria Nicolodi, che non disdegna di utilizzare il suo fascino femminile pur di ottenere informazioni rilevanti sugli omicidi e fare lo scoop che darà la svolta alla sua carriera. 

Il film si trova a cavallo tra il genere giallo dei primi film di Dario Argento (L'uccello dalle piume di cristallo, Quattro mosche di velluto grigio, Il gatto a nove code) e il genere horror paranormale della seconda fase della sua carriera, cominciata con Suspiria. Per questo motivo la trama, pur se ben costruita, presenta una serie di falle piuttosto notevoli dal punto di vista logico, sopratutto se si considera la soluzione finale; ciò nonostante il film riesce a trasmettere allo spettatore una tensione e una suspense incomparabili, grazie alla tecnica ormai classica di far capire alla vittima che l'assassino è penetrato nel territorio che si ritiene più sacro e inviolabile, quello della propria abitazione (tutti i delitti avvengono in case private) e di scatenare così una situazione di panico che finisce per accelerarne la fine. 

La particolarità di questo film, infatti, è che le vittime appaiono sempre vulnerabili e indifese, quasi volessero inconsciamente offrirsi in sacrificio al loro aguzzino il quale, al contrario, dimostra sempre una razionalità e una freddezza glaciali: sembra conoscere ogni anfratto, ogni passaggio, ogni nascondiglio dei luoghi in cui entra non soltanto per uccidere, ma anche per captare i segnali di avvicinamento alla verità da parte dei suoi inseguitori e agire di conseguenza. Tutto ciò appare più come la proiezione degli incubi e delle angosce del regista che come la rappresentazione fedele del modus operandi di un vero serial killer, eppure è di un'efficacia sensazionale nel tenere inchiodato lo spettatore alla vicenda e nel lasciargli addosso una sensazione di paura difficile da rimuovere.

Profondo Rosso è un grande classico, splendidamente recitato, anche se, lo ribadisco, un'analisi puramente razionale della trama e della soluzione ne mostra diverse falle. Ma il bello dell'arte è riuscire a rendere verosimile anche le cose più assurde, anche perché, in fondo, chi può dire cosa sia verosimile e cosa non lo sia quando si parla di situazioni tanto estreme? Come dice uno dei protagonisti del film: "la nostra mente non ci fa vedere la verità, ma solo la versione della verità che noi vogliamo vedere".